Mondo

L’astrazione, il nemico di tutti

Non è giusto parlare di fanatismo religioso. è più giusto parlare di una lucida disumanità, partorita in qualche università. Che passa per l’azzeramento dell’io.

di Luca Doninelli

«Un giorno,/ nel mio Regno/ l?ignobile liquido (il sangue, n.d.r.)/ ch?io stesso/ in me/ devo ancora sopportare,/ non sarà più degno./ Esisterà/ la nuova linfa/ da me creata/ e dai supremi miei laboratori;/ non darà più gioia/ né dolore. Non darà più amore./ Come l?intero d?ogni corpo/ al Potere soltanto/ obbedirà./ Circolerà/ e d?esistere cesserà/ al comando,/ quando il decreto/ lo deciderà?.
Sono parole tratte dalla tragedia Post-Hamlet, scritta da Giovanni Testori nel 1983. Queste parole mi sono tornate alla mente alla vista dello spaventoso attentato americano. Mentre migliaia di persone morivano davvero, a me pareva di trovarmi in un film o in un romanzo americano, o peggio in un videogame. La furia distruttrice che vedevo in atto, moltiplicata senza fine dalle telecamere, era pari alla bellezza astratta del disegno di chi l?aveva concepita. Era una furia lucida, razionale, frutto di calcoli complessi, di un?ingegneria impeccabile. Proprio come certi film.
L?idea di lanciarsi con due grossi aerei di linea carichi di carburante contro le Torri gemelle è degna dei migliori registi del genere catastrofico. Con la differenza che qualcuno l?ha fatto davvero. Per farlo davvero è necessario aver azzerato completamente qualsiasi idea dell?io, della personalità umana, in una parola: dell?uomo.

Con il sangue nelle vene
Un?amica che per lavoro si reca spesso, da molti anni, nei Paesi musulmani, mi dice che, da quelle parti, le persone di cinquanta-sessant?anni inorridiscono al solo nominare il terrorismo islamico, mentre i giovani, dai quindici anni in su, abbracciano senza riserve le tesi più estremiste.
Questo mi radica nell?idea che il termine ?terrorismo islamico? è improprio. I musulmani sono uomini come noi, che amano, soffrono, sperano, lavorano e credono, nonostante i molti dolori, che il mondo appartenga a un Dio provvidente e misericordioso; uomini – per tornare alla metafora di Testori – con il sangue nelle vene. Sono certo che il cosiddetto fondamentalismo non è altro che un?invenzione astratta, frutto di qualche università mediorientale o magari sovietica, una fredda operazione fatta a tavolino, che usa alcuni aspetti della religione islamica per trovare le radici adatte al proprio disegno politico.
Chi ha inventato il fondamentalismo è figlio meno dell?Islam che dell?Illuminismo, della Ragione astratta, asettica posta sempre al di sopra di tutto e – quel che è peggio – prima di tutto, prima cioè della realtà, della cara, imperfetta, dolorosa ma anche bellissima realtà: prima della sua positività indomabile. Una ratio geometrica, econometrica, ingegneristica, per la quale la realtà è nulla, l?uomo è nulla – carne da cannone. Perciò non stupiamoci se ai Talebani o chi per loro non importerà un fico secco della morte dei propri uomini: sterminino pure l?intero popolo afghano, tanto ci sarà sempre qualcuno capace di pilotare un aereo su San Pietro, sul Bridge Tower, sul Prado, sulla Tour Eiffel.
Non parliamo di fanatismo religioso. Parliamo di lucida disumanità, di cui la religione è solo un ingrediente preso per comodità. La religione è soltanto il ricatto in forza del quale dei genitori consegnano i loro figlioletti amati a un progetto educativo tanto lucido quanto barbaro, vòlto a estirpare dai cuori e dalle menti qualunque senso dell?io, della persona, qualsiasi piacere della vita, qualsiasi gusto, qualsiasi amore delle cose quotidiane, volto a fare – come ha scritto giustamente qualcuno – dei morti ancora in vita. Perché questo è un terrorista: un morto vivente. è la nuova linfa di cui parlava Testori: non più sangue, ma un prodotto di laboratorio. Capace di produrre la sola cosa che al potere interessa: l?obbedienza, la funzionalità al proprio disegno.
Infine. In questi giorni continuo a pensare all?idea di ragione che mi è stata comunicata attraverso la formazione cattolica da me ricevuta, e che si allontana di molto da quella, astratta e totalizzante, dei Signori della Morte. È la definizione che ne dà don Luigi Giussani, il più grande pensatore cattolico della nostra epoca: la ragione come «apertura alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori». Un rispetto assoluto del dato della realtà è la prima espressione di un?umanità vera, e quindi di ogni azione degnamente umana – così che, prima di morire, Testori disse che il primo consiglio da dare a un artista è quello di amare la realtà.
Dio stesso – che è la Ragione – si è comunicato all?uomo rispettando fino in fondo questo metodo, tant?è che ha scelto la carne tenera di un bambino per farsi conoscere. Con questa tenerezza, che si chiama Misericordia, Dio si è presentato nella storia umana. Un pezzo di carne fragilissima, non il potere sul mondo: questo è stato Dio per noi.

Quell?immagine del mistero
Ripenso ad Abramo, che obbedendo a un dio di cui ancora non conosce il volto (e che immagina perciò feroce come i tanti dèi mesopotamici) non esita – da uomo giusto qual è – a sollevare il pugnale sul proprio figlio, e conosce il vero volto di Dio attraverso la mano che ferma il suo gesto. Così Dio si è fatto conoscere nella storia: come Misericordia.
E se per un cristiano l?immagine di Maria che stringe al petto Gesù è l?immagine stessa del Mistero di Dio, tuttavia – magari soltanto come metafora – anche un musulmano può capire e apprezzare questa figura, che non a caso è presente in moltissime case musulmane. Anche per un musulmano, infatti, percepisce in questa icona la Tenerezza stessa di Dio.
Su questo punto, cristiani ebrei e musulmani possono ben comprendersi e unirsi contro l?astrazione, contro il Nulla – vestito da musulmano o da gentleman poco importa – contro la disumanizzazione che avanza e deforma il volto dell?uomo. Lì c?è Satana, non in America (già l?identificazione di una nazione con il Male è segno di astrazione ideologica e totalmente atea). E l?uomo religioso, l?uomo positivo, lo sa bene. Perciò la società multiculturale può avere, in questo processo, una funzione fondamentale.

La canzone della pace di Yitzhak Rabin
Fate che il sole sorga al mattino per illuminare:
la più pura delle preghiere non ci farà ritornare.
Colui il cui lume è spento è stato riposto nella polvere,
il pianto amaro non lo sveglierà, non lo farà ritornare qui.
Nessuno ci farà ritornare dalla fossa profonda
e qui non verranno la gioia della vittoria, né i canti di ringraziamento.
Per questo cantate solo un canto alla pace,
non sussurrate una preghiera,
meglio che cantiate un canto alla pace gridando forte.
Lasciate che il sole penetri attraverso i fiori.
Non guardate indietro, date tregua a coloro che vanno.
Sollevate gli occhi con speranza non solo nelle intenzioni;
cantate una canzone all?amore e non alle guerre.
Non dite: ?Verrà un giorno?, portatelo quel giorno.
E per tutte le piazze portate in alto la pace.
Per questo, cantate solo un canto alla pace,
non sussurrate una preghiera,
meglio che cantiate un canto alla pace
gridando forte.

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